venerdì 8 gennaio 2010

Le sfide della didattica interculturale: breve resoconto di un'esperienza






(il presente articolo sarà pubblicato a breve sul sito 
dell'I.C. "Campanella-Sturzo" di Librino nella sezione "Attività e progetti")
Il caso di Bianca[1]
La funzione propria dell’insegnante nella scuola odierna non si esprime più soltanto nella mera trasmissione di saperi, ma consiste in un continuo stimolo della voglia di mettersi sempre in discussione per poter far fronte ai bisogni educativi del nuovo discente che è innegabilmente multimediale e multiculturale. Da questo asserto muovono le riflessioni teoriche e le conseguenti esperienze pratiche relative a progetti di rete avviati dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Catania in concomitanza con scuole ed enti locali. L’esperienza che mi accingo a descrivere ha riguardato l’I.C. “Campanella-Sturzo” di Librino (Catania) presso il quale, prima di laurearmi, ho svolto la mia attività di tirocinio in una classe in cui era presente un’alunna di nazionalità rumena. In prima istanza sento il dovere di ringraziare sentitamente il preside, prof. Lino Secchi e la scuola tutta per la sensibile, dolce e pronta disponibilità. Ringrazio in maniera particolare la docente Maria Rossino, responsabile del progetto “Intercultura”, con la quale ho condiviso le gioie di questa piccola ricerca imparando tante cose dalla sua esperienza in classe. L’allieva, che allora frequentava la classe prima, era già ad uno stadio di acquisizione linguistica abbastanza avanzato data la felice condizione scolastica e familiare che fornivano alla discente un input o CDS (child direct speech), come lo chiamerebbe Anna De Marco, abbastanza ampio e variegato. La scuola in questione si trovava alla sua prima esperienza con bambini stranieri in classe e dunque abbiamo lavorato in un contesto d’apprendimento caratterizzato da una totale estraneità dei partecipanti all’idea di diversità. Il lavoro fatto con l’insegnante Rossino, dunque, è partito da una immediata necessità di sottolineare il concetto di condivisione, educando i ragazzi a disegnare e colorare con materiale comune e rappresentando, nella prima attività, se stessi ed i ricordi, i profumi, gli odori e i colori che ci rappresentano. La bambina ha subito disegnato la sua rappresentazione della casa posseduta nel paese d’origine, disegno che ricorre anche nei quaderni usati durante l’anno scolastico. Questa esperienza del disegno mi ha fatto seriamente comprendere la portata della situazione in cui viene a trovarsi un allievo, specialmente in tenera età, che deve riorganizzare il proprio sistema linguistico e sociale per entrare in contatto con la nuova realtà. Questi lavori sono stati successivamente posti in una “scatola magica” dalla quale ogni bambino prelevava un elaborato a caso cercandone l’autore. Questi veniva invitato a motivarlo esprimendo i propri sentimenti (ed anche la propria lingua italiana!). L’allieva di origine rumena non si è limitata esclusivamente all’uso del presente indicativo, ma ha dimostrato di saper calibrare gli usi del passato e di altre forme verbali, la sintassi si presentava ben articolata e la morfologia quasi perfetta. Nel parlato dell’allieva ho colto una sola occorrenza di uso “diverso” del futuro che, in quell’occasione, è stato costruito perifrasticamente con forme del verbo volere proprio come in Romeno. Nello scritto ho potuto cogliere dei fenomeni che mi hanno portato a scavare un po’ di più. Sfogliando i coloratissimi quaderni dell’allieva mi sono accorto di un regolare scambio della fricativa alveolare sonora (z) con l’affricata alveolare sonora (dz) in posizione intervocalica. Il termine poesia [ˈpɔˑezja], per esempio, veniva scritto dalla bambina poezia e non poesia. È possibile ricondurre questo fenomeno alla lingua rumena in quanto la madre parla con la figlia anche il Rumeno. Che fenomeni di contatto come questo siano dovuti anche ad un intervento attivo della madre nella vita scolastica della figlia è testimoniato da un altro fenomeno riscontrato. La bambina, nel passaggio dal plurale al singolare, applicava un indistinto suffisso “-o” a tutti i termini che finiscono per “–io/-ia”. Il singolare di spiagge, per esempio, veniva realizzato come “spiaggeo”, di bucce come bucceo, di pance come panceo ecc. Ho potuto giustificare questa realizzazione del singolare quando mi sono accorto, in un esercizio per casa compilato stranamente dalla madre, che il fenomeno era proprio del genitore e non della figlia che lo riproduceva, in altri esercizi, sotto dettatura. Questa forma di singolare, comunque è riconducibile ad una struttura fonica dell’italiano non metabolizzata dalla parlante in questione. Se prendiamo come esempio il termine pancia, infatti, ci accorgiamo subito che la lettera “i” che siamo abituati a scrivere in questa parola è, nella pronuncia, puramente grafica. Pronunciamo infatti [ˈpaːnʧa] e non [ˈpaːnʧia]. Altro fenomeno di natura fonica è lo scambio tra affricata palato-alveolare sorda (acido) ed affricata palato-alveolare sonora (agenda). La bambina scriveva e a volte pronunciava, infatti, [faˈʤɛːva] al posto di [faˈʧɛːva]. L’ultimo fenomeno riscontrato dimostra la vitalità del sistema interlinguistico nel suo rimodularsi tendendo sempre verso una lingua target. L’allieva rendeva sempre al femminile i nomi dei mesi terminanti in -io (Gennaia per Gennaio). È questo l’esempio di una struttura linguistica non appartenente a nessuno dei due codici, in quanto in Rumeno i nomi dei mesi sono maschili. È probabile che questa forma di singolare sia realizzata per analogia con l’articolo determinativo rumeno che è enclitico. Questa particella -ia, dunque, può derivare dall’articolo rumeno in quanto queste produzioni si verificavano durante la scrittura della data e a volte la bambina “si sbagliava” dicendo «Catania il 15 Febbraio». Dopo aver somministrato ai genitori un questionario sociolinguistico per rendermi conto del contesto in cui la bambina vive ho preparato, a distanza di un anno, un semplice compito per l’allieva. Nessuna occorrenza di quei fenomeni era più presente. Si presentava esclusivamente lo scempiamento delle doppie riconducibile alla lingua Rumena e che avevo già carpito dal parlato dell’alunna l’anno precedente. Questo dimostra che il supporto di un nucleo familiare sereno e motivato come risulta dai questionari sociolinguistici e di una scuola che si avvale della didattica ludica anche per l’apprendimento del lessico e della fono-sintassi è la carta vincente per qualsiasi progetto linguistico ed esistenziale e ciò dimostra anche quanto una scuola che abbia insegnanti colti, aggiornati e reattivi possa essere fondamentale nel processo di integrazione. Il momento più commovente che ricordo è stato proprio quello del commento del disegno, in cui ho potuto toccare con mano la sensibilità scissa del piccolo migrante. La frase che mi è rimasta impressa è la seguente: «Io non ho una casa perché io sento di abitare sia qui che nel mio Paese». Altre attività hanno riguardato sempre il raccontare e raccontarsi tramite un disegno, la funzione delle mani e del saluto nelle diverse civiltà, ma l’evento culminante è stato, anche in questo progetto, la proiezione del film “Azur e Asmar” con le relative attività. La forza magnetica ed esaltante del film è stata di grande aiuto. I bambini sono stati immediatamente rapiti dall’energia dei colori sfavillanti e dalla voglia di capire cosa rappresentassero quei simboli e quei modi di fare altri che comunicano, poi, le stesse emozioni della vita che tutti proviamo.
Giuseppe Interlandi

[1] Articolo tratto e riadattato da: Interlandi G., Dall’Interlingua all’Intercultura. Un percorso linguistico tra le esigenze sociali, (Tesi di Laurea), Catania, 6 luglio 2009, pubblicata su www.tesionline.it





Fotografia scattata durante la riproduzione del film d’animazione “Azur e Asmar”. In questa particolare scena la nutrice, figura di fondamentale importanza dal punto di vista interculturale, si meraviglia alla vista di Azur.











«Altre attività hanno riguardato sempre il raccontare e raccontarsi tramite un disegno, la funzione delle mani e del saluto nelle diverse civiltà».


















« l’evento culminante è stato, anche in questo progetto, la proiezione del film “Azur e Asmar” con le relative attività. La forza magnetica ed esaltante del film è stata di grande aiuto. I bambini sono stati immediatamente rapiti dall’energia dei colori sfavillanti e dalla voglia di capire cosa rappresentassero quei simboli e quei modi di fare altri che comunicano, poi, le stesse emozioni della vita che tutti proviamo».



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