Premessa
Sono bambini e sono senza una voce. Sono migranti. E sono senza un’identità affermata. Sono “diversi”, sono “stranieri”. Sono bambini!
Giamal o Karishma. Ma anche Aziz, o Ritish… Arrivano in Italia. E sono ancora dei bambini. Ma già il mondo, anzi il “nuovo” mondo, gli fa paura. Dopo il viaggio, si trovano ad essere inseriti immediatamente nel sistema scolastico, secondo la normativa vigente, e giungono ai primi incontri, alle prime relazioni: quelle con i coetanei. I suoi compagni hanno già “un passato” insieme: condividono giochi, feste, cibi. Hanno più o meno gli stessi giocattoli, mangiano le stesse merendine, hanno le stesse paure. Pensiamoci al posto di Giamal o di chi come lui si trova costretto a trasferirsi in terra straniera. Non ci immobilizzerebbe solo il non conoscere la lingua dei nuovi compagni, ma ci spaventerebbe tutto quello che non sappiamo, ad esempio: quando si mangia e che cosa, come sono gli adulti e che cosa si aspettano da noi, com’è questo mondo sconosciuto. Un bambino straniero ha la necessità di essere accolto con un inserimento “dolce”, deve sentirsi atteso, aspettato, deve essere aiutato a capire i ritmi della scuola, a costruirsi riferimenti spaziali. L’accoglienza è dunque un percorso didattico. Il primo. E in Sicilia, secondo i dati pubblicati nel Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes 2006, sono 18.583 i minori stranieri che soggiornano regolarmente nella regione. Una percentuale pari al 20,6% della popolazione straniera complessiva. Le istituzioni scolastiche non possono più ignorare. Devono agire. E devono farlo con figure professionali specializzate, come i mediatori culturali, i facilitatori d’apprendimento di lingua italiana come lingua seconda, psicologi, pedagogisti ed assistenti sociali, purtroppo ancora evanescenti nelle scuole siciliane. Nelle aule delle scuole della provincia di Catania, secondo quanto ha esposto il prof. Giuseppe Vecchio, preside della Facoltà di Scienze Politiche, durante l’anno scolastico 2005/2006 sono presenti 1.640 alunni stranieri.Un dato che paragonato all’anno scolastico precedente (1.031 presenze) presenta un aumento di più del 60%. La provincia in vetta alla classifica delle presenze di minori immigrati è risultata essere quella di Trapani (30,9%), seguita da Agrigento (22%), Palermo (21,3%), Messina (20,9%), Ragusa (19,5%), Siracusa (18,4%), Catania (17,4%), Caltanissetta (17,3%) ed Enna (14,4%). Ovviamente, il dato sarebbe soggetto a rigonfiamenti se riuscissimo ad accertare numericamente la presenza di bambini clandestini “non accompagnati”, cioè dei protagonisti di un’ “Odissea”, sofferta e dolorosa che una volta conclusa, li dissolverà nel nulla, li renderà quelli che i titoli delle cronache hanno definito “bambini fantasmi”. Giri malavitosi, della pedofilia, del commercio di organi, infatti, trovano nei piccoli un flusso linfatico continuo ed inesauribile pronto ad alimentare un sistema malato ed infetto. Su un totale di più di 8.000 comuni italiani, sono stati soltanto 346 i comuni a dichiarare di avere preso in carico minori stranieri non accompagnati. C’è da chiedersi se i fantasmi esistono davvero o se li creiamo noi.
Ci incoraggia però sapere che nascono ogni giorno di più organismi, enti, associazioni e centri di ricerca che studiano e progettano metodologie e strategie sociali di accoglienza, inserimento ed integrazione.
1.1 A.a. 2005/2006. La proposta: didattica multimediale dell’italiano come L2
Con l’utilizzo dello strumento audiovisivo L’Apetta Giulia e la Signora Vita, film d’animazione in 3D di Paolo Modugno[2], si è voluto fornire alla classe di bambini italiani, mauritiani e affetti da difficoltà comunicative e di relazione dell’istituto comprensivo B.Monterosso, un dato oggettivo comune in grado di stimolare la nascita di un colloquio spontaneo tra gli alunni. La metodologia adottata è stata quella della didattica tra pari per favorire sia, l’integrazione tra bambini italiani e stranieri sia, un’efficace trasmissione di tipo linguistico e sociologico. Le strategie di apprendimento stimolate invece, sono state quelle definite da O’ Malley e Chamot come strategie metacognitive, cognitive e sociali - affettive. Durante ogni incontro si è visionata una sola sequenza, alla quale ha fatto seguito con particolare attenzione un processo guidato sulla mediazione e negoziazione dei contenuti. Krashen, nella sua teoria formulata negli anni Ottanta, avanza la tesi che ogni individuo è da considerarsi un elaboratore attivo d’informazione. Trasversalmente o indirettamente, l’apprendimento linguistico avviene attraverso un processo d’intake, che trasforma l’input linguistico in output linguistico, provocando un processo metodologico di comprensione detto “Total Physical Response”. Ciò che il bambino apprende in forma passiva, viene consapevolmente trasformato in output attivo. Il processo è favorito dall’adozione di strategie linguistiche, come quelle della parafrasi e della reiterazione del termine, presenti nel film sotto forma di canzoncine o narrazione.
Partendo dal presupposto che studi condotti di recente rilevano che si ricorda il 10% del visto e il 20% dell’ascoltato, ma anche che abbinando sonoro e visivo si ricorda fino al 50% del visto ed ascoltato, la valorizzazione del ruolo degli audiovisivi come glottotecnologia da impiegare nella didattica dell’italiano come L2 può partire anche da qui. L’attivazione contemporanea di due percezioni sensoriali, visiva ed uditiva, per l’appunto, rafforza l’apprendimento. L’audiovisivo come mezzo di apprendimento sollecita anche una partecipazione sinestetica da parte dell’apprendente, ovvero si attua il processo per il quale ad una percezione sensoriale ne viene associata un’altra diversa per contenuto e modalità. I messaggi audiovisivi, permettono, invece, di presentare sia il codice verbale, sia quello non verbale in tutte le sue varietà, in un contesto socioculturale riconoscibile, e in stretta relazione con i tratti paralinguistici (intonazione, ritmo della voce, accenti). Del codice non verbale vengono messi in luce i tratti cinesici, tratti prossemici, tratti vestemici, tratti oggettuali. Se l’obiettivo generale del laboratorio di lingua italiana L2, sia per scelta personale dell’insegnante dell’approccio metodologico di tipo funzional-comunicativo, sia per il soddisfacimento del bisogno primario del bambino di poter interagire con i coetanei, è quello di raggiungere una competenza comunicativa, si trova un positivo riscontro nello strumento audiovisivo come valido mezzo di insegnamento/apprendimento, dove le componenti della competenza comunicativa, ovvero la competenza extralinguistica, paralinguistica, sociolinguistica e linguistica trovano riscontro negli aspetti della situazione socioculturale presentata. Nello specifico, proprio all’interno delle sequenze selezionate, sono presenti scene dove i contenuti sociologici dell’integrazione e della relazione con i “diversi” vengono messi ben in evidenza dalla rappresentazione grafica. I nuclei tematici, estrapolati e selezionati dal prodotto audiovisivo proposto, sono stati quelli della nascita, dello sviluppo dell’identità della persona, della scoperta e del rispetto dell’anima delle cose, della conoscenza di culture diverse, dell’amicizia, del disagio, maggiormente evidente nella fase adolescenziale, dovuto al sentirsi in una posizione intermedia tra il mondo dei bambini e quello degli adulti. L’obiettivo è stato quello di favorire un dialogo intergenerazionale tra bambini e adulti, oltre che intragenerazionale, al fine di consentire uno scambio interculturale, nonché una piena e consapevole condivisione di esperienze dirette. Dialogo che spesso passa tra le generazioni attraverso le storie.
Così, si è passati all’approfondimento del sistema narratologico della fiaba e della favola in riferimento al film d’animazione L’apetta Giulia e la Signora Vita, ma anche in riferimento alle diverse trasposizioni ed interpretazioni nelle diverse culture e nei diversi periodi storici della favola La Gatta Cenerentola di Gian Battista Basile[3] impostando così un’attività d’apprendimento intertestuale. Dalla trasposizione tradizionale siciliana musicale Figlia, figlia[4], alla celebre produzione della Walt Disney[5], i bambini, con grande spirito di osservazione, ne hanno subito rilevato le discrepanze e le analogie conferendo successo all’impianto intertestuale dell’attività. La struttura narrativa del film d’animazione di Modugno, infatti, è un intreccio tra favola e fiaba. Per approdare alle definizioni di quest’ultime si è scelto di svolgere un percorso dubitativo[6] che stimolasse nei bambini curiosità. È stato questo, opportunamente monitorato, a decidere il ritmo della progressione dei contenuti proposti, volutamente frammentati e dosati come fossero piccole tappe conducenti al traguardo finale. Per meglio abbattere il muro di relazione gerarchica tra alunno e insegnante, rappresentato come di consueto dalla disposizione frontale della classe all’insegnante, i bambini sono stati fatti disporre in un grande cerchio inglobante anche noi operatori del progetto. E’ stato stimolato tra i bambini l’interesse sugli usi, i costumi e le tradizioni nelle Mauritius, paese d’origine dei bambini della classe assegnatami, sfociato in colloqui di confronto e curiosità. Alcuni di loro hanno raccontato l’esperienza di un viaggio nella loro terra natìa con grande spirito critico ed hanno portato in classe cartoline, per illustrare ai compagni siciliani il paesaggio delle isole, i quali hanno risposto con vivo interesse.
In conclusione, si è potuto affermare che anche se piccoli, i progressi non sono mancati, soprattutto da parte di chi, per natura introverso o con difficoltà relazionali, si è lasciato trasportare da una didattica apparsa più come un gioco, aprendosi agli altri, regalandogli sorrisi e abbracci. Rimane il dubbio però, che i piccoli progressi siano rimasti “piccoli” a causa dell’esiguo numero degli incontri (soltanto 3) previsti dal progetto all’interno delle classi. C’è da rilevare inoltre, che tutti i bambini classificati come “stranieri” appartengono ormai alla seconda generazione migratoria e pertanto il loro processo di apprendimento linguistico risulta essere avviato. A fare da leit motiv nella proposta didattica dell’anno scolastico 2005/2006 c’è, dunque, la narrazione per audiovisivi. Il «cuntare».
1.2 Fiabe, favole e audiovisivi: uno strumento per raccontare e raccontarsi
James Bruner[7], richiama l’attenzione sul fatto che oggi gli psicanalisti riconoscono che la personalità implica una narrazione e che la nevrosi è il riflesso di una storia insufficiente, incompleta ed inadeguata su se stessi. La narrazione avrebbe, così, importanza eguale sia per la coesione di una cultura che per la strutturazione di una vita individuale. È così da sempre. In qualsiasi cultura. Nella maggior parte delle culture non esiste una linea netta in grado di separare il mito della novella popolare dalle fiabe. Esse costituiscono nella loro totalità la letteratura delle società preletterate. Una letteratura ereditata dall’oralità. Assorbita dai nonni o dai «cuntastorie». Narrare, quindi, per raccontare, per raccontarsi. Immaginare per vedersi. Fiabe e favole, lette, immaginate, viste o ascoltate. E la lingua italiana? Narrante, o piuttosto, narrata e poi estrapolata, sviscerata, analizzata per poi essere ricomposta ordinatamente. Ma il segreto del successo sta lì: nell’espressione di sé, nella comunicazione, nel donare. Perché il silenzio di un bambino che non sa parlare nella lingua degli altri suoi coetanei, può parlare a se stesso, prima di tutto. Allora bisogna che la storia funzioni, che catturi l’attenzione del bambino, incuriosendolo e divertendolo. E dato che la vita per il neo arrivato è spesso sconcertante, ha bisogno di comprendere se stesso prima di scendere a patti con un mondo complesso ed impenetrabile. Esserne capace significa arrivare a trarre un senso coerente al tumulto dei suoi sentimenti attraverso le idee sul modo di dare ordine alla sua “casa” interiore, per poter creare su tale base un ordine alla sua vita. Ha bisogno, insomma, di un’educazione morale, non mediante la proposta di concetti etici che si rivelerebbero del tutto astratti, ma mediante quanto gli appare più tangibilmente corretto e quindi con qualcosa che abbia un significato riconoscibile. Il bambino trova questo tipo di significato attraverso le fiabe. Il processo riguarda il bambino in maniera universale, sia che si trovi nella condizione sopra descritta, sia che non vi si trovi. Soltanto che nella prima ipotesi, il bisogno assume dimensioni amplificate richiedendo un intervento urgente ed intenso. Il motivo per il quale i bambini, a tutti i livelli d’intelligenza, di patologie e di condizione sociale, trovano le fiabe popolari più soddisfacenti ed affascinanti di tutte le altre storie per l’infanzia disponibili in commercio si rintraccia nel loro incipit[8]. Le storie iniziano di solito in modo realistico: il bambino è posto di fronte ad una difficoltà, e da tale problema è portato a condividere con l’eroe la ricerca di una soluzione. La fiaba, infatti, consiglia non solo isolando e separando fra loro i disorientati aspetti dell’esperienza del bambino in opposti, ma anche proiettandoli in personaggi diversi. Il bambino identificandosi con l’eroe, può allora compensare nella fantasia le sue inadeguatezze, reali o immaginarie, immaginando di essere come lui. Tutte le bambine fantasticano di essere delle principesse, così come i maschietti dei bei cavalieri. La prima e la più importante domanda che si pongono i bambini infatti è: «Chi sono?» E poi, non : «Voglio essere buono?» ma, «Come chi voglio essere?» Il bambino una volta deciso questo, proietta tutto se stesso in un personaggio. È come se il bambino si trovasse sempre dentro ad una esemplificazione della realtà, dei caratteri umani fortemente tratteggiati, delle forme e dei colori della vita, anche se spesso la cultura dominante preferisce fingere, soprattutto quando si tratta di bambini, che il lato oscuro dell’uomo non esista, e cerca di tendere verso la convinzione di un ottimistico miglioramento esistenziale.
Le fiabe, allora, vogliono comunicare proprio l’opposto, e cioè che la lotta contro le gravi difficoltà della vita, contro i cattivi, è inevitabile perché si tratta di una parte intrinseca dell’esistenza umana, e che soltanto chi non si ritira intimorito, ma affronta risolutamente le avversità, può alla fine uscirne vittorioso. Conflitti polari[9] è un prodotto audiovisivo, integrante nella tesi, che vuole sintetizzare il concetto di conflitto tra buoni e cattivi cognitivizzato dai bambini attraverso la successione delle principali funzioni tra le 31 individuate da Propp in quattro fiabe animate dalla Walt Disney Pictures (La Sirenetta, La Bella e la Bestia, Cenerentola, La Bella Addormentata nel Bosco) le quali attraverso frames montati ad incrocio su una colonna sonora[10] costituita da sole voci e tamburo a cornice, scandisce il tempo del racconto per immagini con andamento martellante, incalzante. Il testo del brano musicale, interamente in dialetto siciliano, riporta all’età dell’infanzia, ormai trascorsa, grazie al recupero di due filastrocche, la prima originale ma in perfetta aderenza alla narrazione “d’usu anticu”, la seconda della tradizione siciliana, recitata non meno di un quarantennio fa, dagli adulti ai bambini durante un gioco ricordato come quello di “Crichitignola” (dal nome del personaggio protagonista della filastrocca). Tra le immagini, la musica ed il testo si interseca una trama dai fili vibranti, di suspence e di ansia, che richiamano un po’ la tecnica cinematografica utilizzata in molti film horror dove, nelle scene di alta tensione, si abbina spesso una voce di bambino fuori campo che recita una filastrocca. Ma il lieto fine rassicurante e rasserenante, dopo lo scontro tra i personaggi buoni e quelli cattivi, non tarderà ad arrivare. Come a dire che prima o poi qualsiasi difficoltà si potrà superare.
2.1 A.a. 2006/2007. La nuova proposta: didattica ludico-teatrale dell’italiano come L2
Obiettivo: “Raccontare e raccontarsi”… con qualsiasi mezzo di comunicazione
Qualsiasi tipologia testuale è stata ammessa purchè resa divertente, bella e leggera come un grande gioco. Un gioco che aveva come obiettivo ultimo il “Raccontare e raccontarsi” così come affermato nella tesi metodologica precedentemente esposta. Così, giochi linguistici di sano agonismo, come il gioco del fazzoletto o divertenti quiz, canzoncine inedite ed edite, la teatralizzazione di storie create collettivamente dagli alunni o di storie della tradizione come “Giufà e la pezza lavata”, la creazione di colorate carte d’identità e l’invenzione di personaggi che rappresentassero la corretta regola grammaticale, come il “Maestro Boh?” o “La signora Regola”, (rigorosamente interpretati dai tirocinanti), coreografie di danza “sciogli-ghiaccio” utilizzate nella fase introduttiva degli incontri, sono quanto si è prodotto in un anno di riflessione sui metodi che potessero far scoprire e imparare divertendo “le regole dei giochi”. Quella della figura di un docente di grammatica italiana buffo, maldestro e affetto da una grave malattia come “La parolosa acuta[12]”, i cui sintomi sono la perdita di memoria e la pronuncia storpiata di gran parte delle parole italiane ha riscosso un grande successo tra i bambini che sono divenuti con i loro suggerimenti l’unico “farmaco” per far guarire il maestro. Il binomio così, si è capovolto: non più gli insegnanti che insegnano ed i bambini imparano, ma gli insegnanti imparano ed i bambini insegnano. Anche il ruolo del bambino è cambiato: da passivo ricevitore ad attivo elaboratore di contenuti. L’abbinamento della metodologia multimediale con quella ludico-teatrale ha variegato l’offerta fornendo duplici strumenti da impiegare relativamente alle diverse situazioni scolastiche ed ha costituito una nuova metodologia integrata che permetta non solo, di imparare divertendosi ma anche, di parlare di se stessi, della propria storia di vita grazie alla proposta e alla disponibilità di diversi testi[13] narrativi da poter utilizzare e sui quali poter trovare qualcosa che rispecchi un po’.
Inoltre, quest’anno il concetto di Raccontare e Raccontarsi attraverso il mezzo audiovisivo è stato attuato in piena autenticità. Dietro liberatoria per i diritti di voce e di immagine, i bambini hanno potuto “raccontarsi” nella loro esperienza laboratoriale davanti alla telecamera e davanti la macchina fotografica. L’unico rammarico rimane nel fatto che la suddetta possibilità è stata impedita da alcuni dirigenti scolastici, malgrado in possesso delle firme dei genitori utili al consenso della liberatoria. Pertanto, il materiale dimostrativo di questa fase finale dell’attività risulta nel complesso parziale. Gli studenti universitari tirocinanti sono rimasti comunque tutti entusiasti dell’esperienza. Dalle relazioni finali possiamo leggere:
«Il contatto diretto con i ragazzi, lavorare ed interagire con loro è stata un’esperienza molto formativa, oltre che divertente. Il reciproco scambio di idee, fornire loro dei mezzi di conoscenza è stato davvero molto stimolante. Considero la possibilità che ho avuto di fare questo laboratorio un vero privilegio. Poter entrare in una classe e condividere la vita di classe con l’insegnante e i ragazzi è sta per me una grande occasione di crescita prima di tutto umana, ma soprattutto professionale».
(Miriam Caterina La Monica – studentessa della Facoltà di Lettere e Filosofia)
«Reputo questa esperienza innanzitutto ben organizzata e poi molto costruttiva in quanto ci ha dato l’opportunità di cooperare con le ragazze di una Facoltà diversa dalla nostra e più esperte nel rapporto con le classi, dato che sono impegnate spesso nelle attività di tutoraggio, di entrare a contatto con l’ambiente scolastico che possibilmente un giorno ci vedrà coinvolte in prima persona, ma penso che sarebbero dovuti esserci più incontri con le classi. Spero di poter fare ancora qualcosa in questo campo».
(Carmen Oliva- studentessa della Facoltà di Lettere e Filosofia)
Queste sono solo due opinioni, ma in tutte le relazioni si può leggere la richiesta degli studenti di innalzare per il prossimo anno il numero degli incontri in classe destinati all’attività linguistica. Otto ore non sono sufficienti per impostare un’attività didattica che consenta di effettuare poi una valutazione dei risultati ed un monitoraggio in itinere dei progressi nelle diverse fasi d’apprendimento. Inoltre, durante l’esperienza maturata in questi due anni, ho potuto rilevare che la presenza di minori immigrati non italofoni è quasi del tutto assente, perché sono ormai della seconda generazione, ovvero figli di immigrati residenti da tempo a Catania o addirittura bambini nati in Italia. Andrebbe, allora, aggiunto al lavoro linguistico già svolto, un’attenzione più specifica ai sistemi delle inferenze linguistiche e delle caratteristiche dell’interlingua[14] sviluppatasi dal contatto della lingua madre, ancora parlata in famiglia, con la lingua italiana, parlata fuori da casa e a scuola.
I docenti degli istituti scolastici, referenti del progetto in questione, si sono mostrati soddisfatti dell’impegno e dell’operato svolto dagli studenti tirocinanti oltre che interessati ad approfondire la metodologia adottata attraverso un corso rivolto agli insegnanti che permetta loro di dare una continuità alla metodologia avviata dagli studenti ma, consigliano anche di anticipare l’inizio delle attività in modo tale da volgere al termine ad Aprile, poiché non sono rari i casi di assenteismo ai primi cenni di calore estivo.
Suggerimenti e nuovi propositi sono già in elaborazione per la nuova edizione del progetto che grazie all’impegno costante di tutto lo staff mantiene sempre l’obiettivo del miglioramento della sua sperimentale e innovativa offerta formativa.
[1] Università degli studi di Catania - Facoltà di Lettere e Filosofia - Anno accademico 2005/2006 - Laurea in Scienze della comunicazione. Indirizzo editing. Relatore: prof.ssa Rosaria Sardo. Disponibile integralmente sul sito www.tesionline.it
[4] in “Cuccurucuntu- Cantari e cuntari all’usu anticu ” de “I Petri Ca Addumunu”, autoprodotto (2004)
[8] si veda Bruno Betteheim, Il mondo incantato – uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe, Feltrinelli, 1975
[9] si veda il cap.6 , La narrazione tra fiabe e cunti, par. 6.1, Il conflitto tra buoni e cattivi nella clip Conflitti Polari di Laura Bonasera, pag.124-130, in tesi di laurea: Didattica dell’italiano a bambini stranieri: il progetto Laposs. A.a. 2005/2006. Relatrice prof.ssa Rosaria Sardo.
[10] La colonna sonora, è un estratto del brano Cuccurucuntu del gruppo di musica popolare ed etnica I Petri ca Addumunu, in Cuccurucuntu - Cantari e cuntari all’usu anticu, autoprodotto, 2004
[11] L’organizzazione dei contenuti grammaticali e dei contenuti ludici insieme in un vero e proprio format che serva come traccia per esperimenti grammaticali in classe, si deve a Rosaria Sardo e a G. Caviezel, i quali lo hanno già messo in scena con successo nel corso di numerosi incontri interattivi con classi di molte regioni italiane. La sintesi è consultabile in Le regole del gioco: proposte di didattica ludica della grammatica italiana. (di prossima pubblicazione)
[13] Esempi: audiovisivi prima elencati; brani musicali contenuti ne, Il Mattino di zucchero, testi di Roberto Piumini, musiche e illustrazioni di Giovanni Caviezel, Piemme Junior, 2003; testi scritti tratti da Gianni Rodari, I cinque libri- storie fantastiche favole e filastrocche, Einaudi, 1993
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