Dopo diversi incontri con i docenti universitari R. Sardo e L. Todaro, responsabili del progetto, a ogni gruppo di studenti è stato assegnato il compito di ideare e realizzare un progetto inerente alla didattica della lingua italiana ai bambini stranieri, da presentare a una classe degli istituti aderenti all’iniziativa. Ad ogni gruppo era consentito scegliere il linguaggio più adatto ad esprimere la propria creatività tra le modalità previste, quali la teatralizzazione, l’utilizzo di materiale audio-visivo o entrambi.
Il mio gruppo è stato assegnato all’Istituto Elementare “Cesare Battisti”, sito in Via Santa Maria delle Salette. Articolato in quattro incontri con cadenza settimanale, il progetto, dal titolo “Una cura per la parolosa acuta: bambini, dai banchi alla cattedra!”, è stato supportato in sede dalle tutor Daniela Gridà e Giovanna Longhitano. La nostra presenza in classe è stata giustificata come attività di tirocinio perché passasse quasi inosservata e diventasse via via più naturale.
La classe a cui è stato presentato il progetto è una quarta, costituita da diciotto elementi, di cui due di origine straniera, esattamente tunisina e slava, a cui si sono aggiunti cinque bambini di diverse classi e diverse provenienze: un tunisino e un nigeriano frequentanti la prima, una mauriziana e una rumena appartenenti alla quinta e un nigeriano di terza. È doveroso considerare la durata della permanenza in Italia dei bambini esaminati. I tunisini, la bambina mauriziana e il bambino nigeriano di prima classe sono nati e cresciuti in Italia, ma ritornano spesso nella terra nativa dei loro genitori, ad esempio durante il periodo estivo o di vacanza. Questi mostrano di possedere una sufficiente competenza linguistica dell’italiano. Il nigeriano di terza classe, invece, è qui da diversi anni e ha iniziato le elementari in Italia. Infine la bambina rumena e il bambino slavo, sono qui da pochi mesi, ma hanno appreso le varietà scritta e orale della lingua italiana in brevissimo tempo.
I partecipanti hanno dimostrato di possedere una media capacità ricettiva e hanno raggiunto un discreto rendimento.
IL PROGETTO TRA TEORIA E PRATICA
Il progetto ideato dal mio gruppo è stato finalizzato al rafforzamento delle nozioni del genere e del numero del nome; in particolare sono stati affrontati gli aspetti della morfologia nominale riguardanti la formazione base del genere e del numero e la presenza nella lingua italiana di nomi con doppio singolare e con doppia forma di plurale. Sebbene i destinatari diretti di questo progetto siano stati gli alunni delle scuole elementari, esso è applicabile in classi di ogni livello.
Il filo conduttore di ogni incontro era costituito dalla presenza di un medesimo personaggio creato e interpretato da una di noi, un simpatico maestro e dalle sue disavventure con le parole. Questi, infatti, era affetto da una grave malattia, la “parolosa acuta”, i cui sintomi sono la perdita di memoria e la pronuncia storpiata di gran parte delle parole italiane. L’unica cura possibile è l’aiuto dei bimbi, i quali, attraverso giochi linguistici e attività varie tanto individuali quanto di gruppo, riescono a guarire il maestro.
Il metodo didattico adottato è di carattere sperimentale e nasce dalla combinazione di diversi approcci come quelli induttivi, deduttivi, funzionali e affettivo-comunicativi, resa possibile dalla teatralizzazione ritenuta dai membri del gruppo la più adatta a stimolare l’attenzione dei bambini e la loro capacità d’apprendimento. I momenti dedicati in classe ai giochi, alle canzoni, ai balli, alle filastrocche e alla conversazione hanno reso possibile, rispetto alle didattiche tradizionali, una maggiore interazione con i bambini. Il gioco non è solo un espediente, ma rappresenta la lingua stessa, intesa come un grande gioco con le sue regole.
Le fonti teoriche cui ci siamo ispirate sono state varie, dalla metodologia proposta da Maria G. Lo Duca in Esperimenti grammaticali (Carocci, 2006) a L’uso didattico dell’immagine a cura di Paola Peruzzi (in Insegnare italiano a stranieri, a cura di P. Diadori, Le Monnier, 2001) , dal Total Physical Response all’approccio naturale. Inoltre, tutte le filastrocche, le esercitazioni, le coreografie e i travestimenti sono stati realizzati da noi sia durante vari incontri settimanali, sia individualmente.
Punto di partenza dell’esperimento è stato la messa in discussione delle regole per verificarne l’attendibilità attraverso la tecnica della “violazione delle aspettative/conoscenze”. Contraddire le esperienze apprese con un atteggiamento dubitativo significa stimolare la mente degli apprendenti non all’apprendimento mnemonico della regola esposta, bensì alla sua comprensione e quindi alla sua maturazione e interiorizzazione. In tale contesto l’errore non è più fonte di vergogna, ma spunto di dialogo e di riflessione. Per la prima volta sono i bambini a comprendere da sé e a spiegare a un professore la regola corretta e non viceversa; il binomio tradizionale dell’apprendimento risulta così capovolto: non gli insegnanti insegnano e i bimbi imparano, ma gli insegnati imparano e i bambini insegnano. Tutti gli incontri, condotti tra pari per favorire l’integrazione tra bambini stranieri e italiani, prevedevano un’organizzazione temporale e contenutistica puntuale affidata a delle scalette, il cui uso facilitava la scansione della lezione nelle tre fasi glottodidattiche del warm up, della narrazione ed enunciazione dei nuclei grammaticali e infine del cool down.
La prima è una fase preliminare che prevede brevi e generiche attività ludiche in grado di riscaldare l’ambiente, disinibire i bambini e stimolare la loro attenzione. Nei nostri incontri tale compito era affidato ai canti “Katalicammello” e Lo scriverò nel vento e alle relative coreografie.
Durante la seconda fase dell’incontro vengono esposti i nuclei grammaticali di riferimento attraverso la teatralizzazione, i giochi linguistici, l’enunciazione della regola alla lavagna, la distribuzione e la compilazione di testi.
Al termine di ogni attività, viene enunciata la regola che faticosamente i bambini hanno ricostruito, e vengono loro proposte delle filastrocche e delle esercitazioni scritte che possano consolidare le conoscenze apprese. La verifica dei contenuti appresi è affidata alla compilazione di fumetti ed esercitazioni. Una coreografia sulle note di una canzoncina tranquilla chiude gli incontri.
L’osservazione, tanto discreta quanto esplicitamente non mirata sui bambini stranieri, si è protratta per un periodo breve. È quindi doveroso premettere che la quantità dei dati raccolti è sufficiente per operare delle riflessioni sull’acquisizione delle categorie morfologiche del genere e del numero in italiano L2, ma non per trarre delle generalizzazioni definitive sul grado di ricezione dei contenuti esposti.
Durante il periodo dell’indagine sono stati raccolti in modo sistematico dati e materiali per delle schede di ricerca, che hanno previsto la registrazione delle interazioni verbali in gruppi o individuali, con i compagni e noi, senza ausilio di riprese audio-visive. Se ne auspica invece l’utilizzo, qualora fosse possibile, per facilitare le operazioni di catalogazione e archivio delle produzioni linguistiche osservate.
Sono stati proposti cinque elaborati scritti per ogni bambino, ma sono stati analizzati un totale di ventinove testi, una quantità inferiore a quella prevista, a causa di qualche assenza dalle lezioni dei soggetti in esame. Gli elaborati si riferiscono alla tipologia del testo narrativo, nella forma del fumetto, e del testo descrittivo, nella forma di esercizi e di compilazione degli elementi mancanti.
Per ogni bambino, inoltre, è stata predisposta una carta d’identità con la duplice funzione di memorizzare i nomi di tutti e di conoscere meglio i bambini, aiutando quelli più introversi a superare la propria timidezza. Queste schede ci hanno fornito un primo assaggio della competenza scritta dei bambini. Ogni carta d’identità conteneva i dati anagrafici e altre informazioni come il luogo di provenienza dei genitori, il colore, il gioco e lo sport preferiti, le aspirazioni future.
CONSIDERAZIONI PERSONALI
Questa esperienza mi ha arricchito emotivamente e didatticamente e ci ha dato modo di lavorare a contatto con bambini che si sono rivelati davvero sensibili, disponibili, affettuosi ed entusiasti.
Nonostante le problematiche che ognuno di essi presentava, siamo riuscite a procedere con relativa serenità. Le uniche difficoltà in tal senso sono state quelle d’interazione con alcuni bambini stranieri, a causa dell’eccessiva timidezza da parte di alcuni e dell’eccessiva richiesta d’attenzione da parte di altri che, a volte, non riuscendo ad ottenerla, s’isolavano e si rifiutavano di partecipare alle attività.
I soggetti esaminati non hanno avuto alcun problema a comprendere le categorie del genere e del numero e ad applicare la regola della formazione base dei nomi. Le maggiori difficoltà riscontrate nell’applicazione individuale degli argomenti affrontati, riguardano il riconoscimento del genere dei nomi terminanti in –e, l’individuazione della forma femminile plurale dei nomi con doppio plurale, ora sconosciuta, ora errata. Ciò che emerge, inoltre, è l’influsso del dialetto siciliano nella varietà catanese nelle espressioni linguistiche. In questi aspetti, la classe si è rivelata omogenea.
Cristina Arena
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