Nella seconda esperienza diretta che mi ha vista coinvolta nelle classi dell'Istituto Comprensivo “Francesco Petrarca” di Catania nell'anno accademico 2007/2008, ho puntato la mia attenzione in particolare sull'apprendimento del verbo da parte di alunni non italofoni. Quasi contemporaneamente agli incontri che tenevo con gli studenti del suddetto istituto frequentavo un laboratorio utilissimo nel campo dell'educazione linguistica e interculturale che mi ha molto aiutata nella programmazione di altri interventi didattici nelle classi.
“Percorsi di educazione pragmalinguistica e interculturale”: raccontare e raccontarsi.
La mia seconda esperienza diretta con bambini frequentanti le scuole catanesi è stata accompagnata dalla partecipazione al laboratorio Percorsi di educazione pragmalinguistica e interculturale, organizzato dalla Prof.ssa R. Sardo e dal Prof. L. Todaro, che ha visti impegnati nell’anno accademico 2007/2008 la Facoltà di Lettere e Filosofia, la Facoltà di Scienze della Formazione e l’I.C. “Campanella-Sturzo” di Catania. Esso si è basato su un accordo di rete denominato “Raccontare, raccontarsi” che ha voluto rappresentare la possibilità concreta di organizzare una modalità d’intervento strutturato in vista di un arricchimento e di una qualificazione della progettualità formativa. Con questo progetto è nata la proposta di far incontrare, intorno alla costruzione e alla co-gestione di percorsi educativo-formativi mirati e condivisi, una pluralità convergente di soggetti istituzionali (Scuola – Facoltà Universitarie – Enti territoriali), di dimensioni di azione e di ricerca scientifica, di strategie metodologiche-operative e di dimensioni pratiche della formazione. Tutto questo proprio perché oggi la formazione scolastica si muove all’interno della sfida proposta dalle grandi prospettive di cambiamento socio-culturale del nostro tempo, caratterizzate da una crescente complessità nella circolazione dei saperi e nelle relazioni d’interazione tra persone e sistemi della conoscenza.
In primo luogo si è scelto di parlare della narrazione in quanto questa rappresenta un macro-contenitore valido come modello globale di riferimento e paradigma formativo fondamentale e come centro di un percorso di educazione linguistica in chiave interculturale. Il modello narrativo rappresenta la dimensione generale di snodo di specifici campi di intervento educativo (linguistico, ludico-creativo, sociale, interculturale) che trovano comunque e sempre la loro sintesi nella possibilità offerta ad ogni persona e ad ogni soggetto educativo di organizzare, nel ‘raccontare’ e nel ‘raccontarsi’, non soltanto significati ed elementi di conoscenza personale, ma anche valori propri di crescita affettiva, etica e relazionale. L’obiettivo finale è stato quello di educare alla narrazione e all’ascolto delle memorie proprie ed altre, recuperare il valore simbolico e il linguaggio evocativo, immaginifico, poetico-creativo del ‘narrativo’ e ritrovare la propria risonanza nel mondo variegato e pluricodice del racconto. Tutti questi fattori consentono ad una comunità scolastica, in relazione sistemica di condivisione, di essere un’autentica comunità educativa, luogo di ricerca ed inclusione.
L’articolazione operativa del progetto intendeva svilupparsi intorno a quattro fasi di riferimento:
· Formazione e incontri guidati tra docenti;
· Workshop, laboratori, spettacoli;
· Giochi e organizzazione di set narrativi in classe;
· Mostra ed esposizione dei prodotti finali.
La prima fase prevedeva la trattazione dei codici, dei linguaggi, delle pratiche e dei significati della narrazione e le possibilità della sua concreta mediazione in un reticolo di azioni formative.
Nella seconda si intendeva affiancare una sessione articolata di workshop e di momenti di spettacolo (tenuti e condotti da riconosciuti autori della produzione editoriale e multimediale per l’adolescenza e per l’infanzia) in modo da creare uno spazio di cross-over aperto tra docenti scolastici, mondo accademico, universo autoriale, nonché tra noi studenti.
Con la terza fase si sarebbe dovuta offrire la possibilità concreta di organizzare micro-esprienze e setting laboratoriali-educativi con la partecipazione diretta degli studenti tirocinanti delle due Facoltà impegnate e con il coinvolgimento degli alunni delle classi dell’I.C. partecipante al progetto. Tutto questo sotto la guida tutoriale dei docenti di ruolo abilitati nella professione delle sezioni di Scuola dell’Infanzia e Scuola primaria dell’Istituto stesso secondo modalità orarie concordate con la stessa scuola. Si trattava di organizzare e sperimentare concretamente sul campo la possibilità di usare i linguaggi e le modalità della narrazione come strategie del fare educazione, creando percorsi di lavoro variamente selezionati e studiati.
A conclusione delle attività si è raccolto il risultato dei lavori svolti in una mostra conclusiva, riepilogativa dell’operosità prodotta ed espressiva degli esiti raggiunti, organizzata presso l’ex Monastero dei Benedettini di Catania nel mese di Maggio 2008.
La prima fase del progetto è stata caratterizzata da incontri formativi presso l’Istituto Comprensivo “Campanella-Sturzo” nei mesi di Marzo, Aprile e Maggio 2008 ed è stata divisa in due nuclei tematici: modelli narrativi e modelli linguistici sotto vari aspetti (nei mesi di Marzo-Aprile) e raccontare per immagini e suoni (nei mesi di Aprile-Maggio).
Nel primo incontro si è partiti dalla domanda: quale rapporto intercorre tra la narrazione e la formazione? Oggi più che nel passato la narrazione è presente nella nostra cultura ed è la cornice entro la quale tutta l’attività linguistica dell’uomo rientra. Nasce proprio dai sociologi l’idea secondo cui le narrazioni hanno a che fare con tutta la cultura di una civiltà. Oggi non ci sono più le grandi narrazioni in cui si credeva, ma le grandi narrazioni immaginarie che ci hanno dato l’idea, il valore simbolico della nostra forma e della nostra identità sia a livello individuale che collettivo. Ci sono alcune narrazioni che ruotano anche intorno a simboli e immagini per darci regole di vita: le rappresentazioni sacre. La capacità di fondo del raccontare e del raccontarsi è quella di immedesimazione e di riconoscimento nell’altro. Da questa capacità scaturisce quella di leggere e scrivere un testo. Si è anche parlato dell’universo narrativo come habitat riferendosi al fatto che all’interno delle narrazioni ci sentiamo a casa e in quanto uomini siamo legati in modo molto stretto alla narrazione. Caratteri primari della narrazione sono la diffusività e la precocità. Il raccontare è infatti una pratica che accompagna continuamente la vita quotidiana dell’uomo che mostra, già a partire dall’età infantile, una speciale attitudine a raccontare. Perché affidarsi alle narrazioni in classe? Perché i bambini hanno bisogno di sentirsi raccontare delle storie e di diventare al più presto i soggetti protagonisti di una propria pragmatica narrativa. A questo proposito si è parlato del grande Bruner e delle funzioni significanti della narrazione: agentività (stabilire una relazione semantica tra agente-azione, azione-oggetto, agente-oggetto, azione-luogo), straordinarietà (capacità di discriminare l’ordinario e l’insolito), linearità (costruzione di una trama sequenziale secondo rapporti temporali e causali). L’identità è il risultato di atti narrativi che cercano di ordinare in un racconto una selezione dei sé possibili che vivono dentro di noi; è a questo proposito che si parla della funzione narrativa come funzione centrale della costruzione del senso di identità personale.
In altri incontri si è discusso dei vari tipi di strumenti didattici da utilizzare in classe (ad esempio libri illustrati e audiovisivi), dei tipi di linguaggio da usare a seconda della fascia d’età degli studenti cui si propone l’attività didattica, dell’intercultura – riferendosi alle modalità di intervento nelle classi dei nostri istituti che accolgono studenti stranieri e alle grandi possibilità che offre la narrazione per un maggior inserimento del bambino che parla la nostra come seconda lingua e dunque tende, all’inizio, a sentirsi un ‘diverso’ – , della didattica del melodramma e sono stati proposti dei percorsi guidati per le classi mediante l’utilizzo del Libro degli errori di G. Rodari o del format Tivà Tivù (progetto di sperimentazione televisiva per bambini condotto nell’ambito dei laboratori didattici tenutisi presso la nostra Facoltà che si sviluppa a partire da una ricerca interdisciplinare condotta dalla Prof.ssa R. Sardo, dai Prof. M. Centorrino, G. Caviezel, A. De Filippo e A. Lizzio).
Dal Libro degli errori sono state lette, con la partecipazione diretta delle maestre dell’istituto, alcune filastrocche che G. Rodari ha scritto sulla suffissazione, sui verbi ausiliari e sull’uso del tempo dei verbi. Dopo queste letture è stato suggerito alle docenti dell’I.C. di fare una sorta di raccolta-dati sui vari tipi di errori che i nostri studenti compiono nelle prime fasi di apprendimento della lingua (e non solo). Si è proposto di attenzionare in particolar modo il conflitto tra pronuncia regionale e ortografica, il sistema pronominale, il sincretismo morfologico, l’uso degli ausiliari, la semplificazione del sistema verbale e la fraseologia.
Durante gli incontri è stata proposta inoltre la visione di alcune delle dieci puntate previste dal format Tivà Tivù. Le puntate realizzate ruotano intorno a un nucleo tematico diverso con esplicita funzione didattica oltre che di intrattenimento. Recuperando la dimensione dell’oralità primaria, i vari personaggi protagonisti delle storie, hanno provato a instaurare un dialogo con i bambini rendendoli protagonisti della televisione col bollino blu! E’ questo in sostanza quello che si dovrebbe ricreare in ogni classe per un rapporto quanto più diretto con i bambini: renderli partecipi e protagonisti del lavoro svolto.
La parte pratica della mia attività nell’anno accademico 2007/2008 si è svolta nelle classi dell'I.C. “F. Petrarca” di Catania. Questa volta ho programmato e condotto tutto il lavoro da sola ponendomi come obiettivo principale l'osservazione dell'utilizzo e dell'apprendimento del sistema verbale da parte di alunni non italofoni. Ho iniziato a programmare l'intervento didattico realizzando un fascicolo – interamente ideato da me – da consegnare ad ogni singolo alunno.
Tale fascicolo mi permetteva di lavorare con piccoli gruppi misti di bambini italiani e stranieri in modo da non far sentire lo studente straniero differente dal resto della classe e posto sotto osservazione. Ho lavorato con bambini di prima e terza media e di scuola elementare: una bambina proveniente da Cuba e un bambino proveniente dalla Colombia frequentavano la prima media, un bambino originario di Santo Domingo frequentava la terza media e tre sorelline polacche arrivate in Italia da appena una settimana erano inserite temporaneamente tutte insieme nelle classi della scuola elementare. Ho lavorato nelle ore pomeridiane di scuola così da alleggerire loro la giornata ed evitare che, facendo un'attività di tipo ludico nelle prime ore della giornata, avrebbero poi perso l'attenzione per le restanti ore di lezione. Confrontando i lavori degli alunni italiani e di quelli stranieri ho potuto notare che avevano tutti più o meno le stesse difficoltà in quanto i bambini italiani presenti nelle classi con cui ho lavorato sono per lo più di matrice dialettofona e dunque anche per loro la lingua italiana è una sorta di “lingua straniera”. Gli incontri venivano fatti in tempi differenti a seconda della classe. I gruppi di bambini stavano seduti in cerchio attorno ai banchi appositamente sistemati e si creava così un'atmosfera familiare che non metteva in soggezione nessuno dei partecipanti. Cosa abbastanza positiva è stata l'attenzione catturata nei bambini e il rapporto che si è instaurato con me.
Carmen Oliva
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