La didattica dell’italiano nelle nostre scuole continua, a parte qualche lodevole tentativo, a non risentire positivamente delle metodologie glottodidattiche più avanzate proposte dai linguisti soprattutto per l’apprendimento delle L2, dal communicative approach al total physical response approach. Gli alunni della scuola primaria e secondaria di primo grado si trovano così nella spiacevole condizione di lavorare con approccio ludico, calibrato ed efficace per la seconda lingua e con approccio tradizionale, magari mascherato da tecnicismi linguistici di ultima generazione, per la loro prima lingua. Eppure sappiamo bene che già nella seconda metà degli anni Sessanta gli assunti pedagogici di Don Milani, uniti all’impegno storico-linguistico-didattico di Tullio De Mauro[1], alla prassi educativa a livello mediatico di Alberto Manzi, e all’opera letterario-didattica di Gianni Rodari e Mario Lodi, avevano avviato un processo di rinnovamento della didattica dell’italiano in classe, che sembrava destinato a rivoluzionare un sistema consolidato ma spesso poco efficace nella scuola italiana.[2]
Come ha anche documentato efficacemente De Seta sullo schermo in Diario di un Maestro, proprio in quegli anni all’idea di un apprendimento linguistico basato sulla prescrizione di regole e precetti[3] si sostituiva, non senza difficoltà, l’idea di un apprendimento rispettoso del naturale processo di acquisizione della lingua stessa e delle diversità dei sistemi di partenza delle lingue materne. Per quest’ultimo punto, come aveva ben compreso già Ascoli, non era possibile in nessun caso in Italia prescindere dalla realtà linguistica dei dialetti, la cui persistente vitalità, ancor oggi, dopo un secolo di unità linguistica e seppur nelle forme sfumate degli italiani regionali, deve essere tenuta in considerazione.
Inoltre, la metà degli anni Sessanta e i primi anni Settanta sono anche il momento in cui l’errore linguistico, vanamente sanzionato dai metodi didattici tradizionali, comincia ad essere considerato come segnale positivo di un processo interlinguistico, ovvero come punto di crisi del codice, ricondotto dall’apprendente ad altre regole già acquisite. Già nel 1953, Uriel Weinreich[4] aveva spiegato nel dettaglio le diverse tipologie di errore in base a fatti di interferenza tra sistemi linguistici in contatto, e l’italiano standard e i suoi dialetti erano senz’altro lingue in contatto, anche se vicinissime e intersecate all’interno del repertorio dello stesso gruppo di parlanti.
Il Libro degli errori di Gianni Rodari, del 1964, nasce in quella temperie culturale e, come tutti i testi poetici, anticipa operativamente e creativamente un pensiero linguistico-pedagogico che diventerà patrimonio dei gruppi d’avanguardia solo qualche anno più tardi.
In Come è nato il libro degli errori Rodari scriveva:
pensai di scrivere un libro intero di filastrocche e raccontini sugli errori di ortografia. Doveva essere una specie di panorama nazionale degli errori tipici […]. Questa «Itaglia sbagliata», però non doveva, né poteva, diventare un vero e proprio schedario ortografico (ecco, però, uno schedario che sarebbe assai utile alla scuola): doveva restare un libro per bambini. E, se permettete, doveva divertire anche lo scrittore […]. Dall’ortografia, il discorso, durante il lavoro, si andò sempre più allargando fino a comprendere altre famiglie di errori: pregiudizi, opinioni correnti da combattere, sviste ideali, comportamenti sbagliati[5].
La coscienza del fondamentale policentrismo e del conseguente plurilinguismo della realtà italiana unita all’impegno pedagogico-autoriale nei confronti dell’apprendimento linguistico in contesto scolastico ma soprattutto extrascolastico si mostra fin dalle prime righe della citazione rodariana. L’urgenza poi di un approccio nuovo, ludico, al problema del consolidamento delle regole grammaticali, base per ogni reale percorso di educazione linguistica democratica, traspare nelle righe successive e conduce il nostro discorso verso il tema che intendiamo affrontare nel corso del presente laboratorio.
Proporremo, infatti, in questa sede un percorso graduale di “esperimenti grammaticali” teatralizzati,[6], scientificamente calibrati secondo una metodologia induttivo-deduttiva basata sul “fare” grammatica costruendo le regole insieme agli alunni. L’approccio ludico-spettacolare servirà naturalmente ad abbassare le difese dei bambini nei confronti dei contenuti didattici nuovi e a favorire il «gioco d’azione comunicativo»[7] in classe. Intendiamo in questa sede spingere quel tipo di approccio fino ai confini del gioco teatralizzato in classe con la proposta di un vero e proprio format da variare a seconda dei contenuti grammaticali da “esplorare” insieme ai bambini, convinti che il gioco teatralizzato in contesto di apprendimento crei un setting di apprendimento stimolante, aperto, che favorisce l’attenzione attraverso meccanismi pragmatici di “messa a fuoco”[8]
Il percorso comincia con un vero e proprio corso di aggiornamento sulle metodologie glottodidattiche, che vedono nel rispetto dei tempi dell’acquisizione dell’apprendente[9], nella proposta di un input linguistico ampio e differenziato in termini di stili cognitivi e comunicativi e nell’uso creativo del linguaggio i momenti fondamentali del processo di acquisizione della lingua.
Possiamo solo suggerire che un programma didattico sia concepito in modo da dare libero gioco a quei principi creativi che gli esseri umani utilizzano nel processo di apprendimento linguistico, e presumo nell’apprendimento di qualsiasi altra cosa. Penso che dovremmo probabilmente tentare di creare un ricco ambiente per l’euristica intuitiva che l’essere umano possiede automaticamente.
La nostra proposta didattica che, attraverso brani d’autore e schemi teatrali offre integrazioni all’input linguistico già fornito in classe, intende lavorare proprio nella direzione della creazione di un «ricco ambiente per l’euristica intuitiva» ma intende anche e soprattutto porre un rinnovato accento sul valore dell’apprendimento guidato della lingua, sia essa prima che seconda lingua, e soprattutto quello della riflessione induttiva o deduttiva sui fenomeni linguistici fatta in contesto scolastico. Dopo lo spunto creativo tematizzato, ragioneremo insieme ai ragazzi su che cos’è la grammatica e perché è importante stare alle “regole del gioco “grammaticale[11], partiremo con gli esperimenti grammaticali di tipo morfologico-sintattico atti a de-strutturare e a ri-strutturare alcune categorie grammaticali tradizionali, proseguiremo con gli esempi più significativi di uso creativo della materia linguistica e del suo elemento strutturale fondamentale, la parola, tratti dai testi sopra citati, per concludere con qualche gioco di “pensiero” tratto dal Libro degli errori di Rodari. Docenti e discenti saranno chiamati infine a costruire insieme testi creativi e comunicativamente efficaci in un clima di workshop atto a sollecitare le motivazioni di apprendimento.
[1] Dalla Storia linguistica dell’Italia unita del 1963 alle Dieci tesi per un’educazione linguistica democratica del 1974.
[2] Se Non è mai troppo tardi insegnava l’italiano agli italiani, oggi non esiste, nella pur sterminata offerta televisiva della tv di stato, delle emittenti private, locali e satellitari, nessun programma che si occupi a nessun titolo di italiano nel mutato assetto culturale, che pure richiederebbe un’attenzione crescente allo studio della nostra lingua. Considerate le difficoltà della scuola di fronte a un mondo che cambia troppo in fretta, visto l’evidente scollamento tra insegnamento scolastico e mondo dei media e considerate le nuove esigenze di apprendimento dell’italiano da parte degli stranieri presenti in Italia, sarebbe auspicabile un rinnovato impegno educativo della televisione in tal senso.
[3] Dalle Regole del Corticelli del 1745, alle Regole elementari della lingua italiana del purista Puoti fino alle grammatiche in uso in anni recenti il metodo grammaticale prescrittivi prevedeva la seguente poco efficace procedura: presentazione della regola, esempi spesso d’autore, esercizi. In realtà tale metodo può essere utile in una fase preliminare ma, come hanno dimostrato gli studi di psicolinguisti come Sthephen Krashen (1981, Second language Acquisition and Second language Learning, Oxford, Pergamon Press, tradotto in Italia per i tipi del Mulino nel 1983) se non si forniscono anche occasioni comunicative il più possibile naturali anche in classe (metodo comunicativo), in grado di attivare il naturale processo di inferenza e acquisizione grammaticale, il risultato è solo parziale. All’approccio grammaticale puro va unito quindi un approccio pragmatico, ovvero un approccio basato sui reali usi di certi enunciati in certi contesti, da parte di certi mittenti, verso determinati destinatari e attraverso canali peculiari.
[4] Nel fondamentale saggio Languages in contact, del 1953 tradotto in Italia a cura di Giorgio Raimondo Cardona solo nel 1974 (Lingue in contatto, Torino, Boringhieri).
[6] Esperimenti grammaticali è il titolo dell’interessante saggio del 1997 di Maria Giuseppina Lo Duca (ristampato nel 2004, Esperimenti grammaticali. Riflessioni e proposte sull’insegnamento della grammatica dell’italiano, Roma, Carocci). Ispirandosi al taglio induttivo-deduttivo del testo, Giovanni Caviezel ha costruito un format teatrale basato sulla figura del Prof. Ludovico punto, che riecheggia in chiave attuale e ironica quella del rodariano prof. Grammaticus. In allegato si fornirà una scaletta del format.
[7] L. Wittgenstein parla di «gioco d’azione comunicativo», “Sprachspiel”, a proposito di ogni scambio socio-linguistico interattivo regolato da regole pragmatiche di cui il dialogo in classe rappresenta un prototipo semplice quanto a mittente e destinatari, canale e contesto. Cfr. The Brown Book in Ricerche filosofiche (trad. it. A c. di Piovesan – Trinchero, Torino Einaudi, 1967). Siegfried Schmidt parla invece di “Kommunicatives Handlungspiel” e di una collegata semantica a istruzioni (Schmidt Siegfried J, Teoria del testo, Bologna Il Mulino, 1982, pp. 63 -66).
[8] Ferroni 2004, p. 11 sostiene: « il gioco in apprendimento agevola: - la disponibilità al lavoro scolastico - la creazione di un setting di apprendimento che favorisce maggiormente l’attenzione - l’utilizzo di potenzialità e meccanismi insiti nel gioco che sviluppano e attivano meccanismi cognitivi - un coinvolgimento diretto e attivo di chi impara chiamando in gioco la totalità della sua persona e il suo impegno, la proposta di una metodologia che, al di là di ogni determinismo didattico, salvaguarda la libertà di coli che apprende»
[9] Ha preso posizione in tal senso già nel 1981 Stephen Krashen nel fondamentale saggio. Second language Acquisition and Second language learning, Oxford, Pergamon press, poi tradotto nel 1983 per i tipi de Il Mulino.
[10] Citato da S. P. Corder, 1983, Introduzione alla linguistica applicata, Bologna, il Mulino, p. 372.
[11] Si potrà sintetizzare il pensiero sempre attuale di Jorge Hankamer 1979 (alla voce grammatica dell’Enciclopedia Einaudi, vol. VI, pp. 897-940) facendo riferimento al principio di regolarità delle lingue storico-naturali in rapporto alle differenze tipologico linguistiche, agganciando il discorso alla realtà di eventuali alunni stranieri in classe.
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